Anne
Marie Slaughter si è cullata nella promessa di un certo femminismo,
soprattutto americano, secondo il quale bisognava “have it all”,
avere tutto: realizzare ambizioni famigliari e professionali. Poi un
giorno, passati i cinquant'anni, ha deciso che non era più
possibile. Il pentimento è arrivato dopo aver faticosamente
raggiunto i suoi sogni. Madre di due figli, lavorava al Dipartimento
di Stato, prima donna nominata Director of Policy Planning, tra le
collaboratrici più in vista di Hillary Clinton. Orari massacranti,
riunioni e trasferte continue, e il tormento di non essere mai
davvero in pari con la vita. Qualcosa che manca sempre, in ufficio ma
anche a casa. “Ho detto basta e non me ne pento” racconta ora
Slaughter che oltre a essersi dimessa con fragore dal suo incarico
governativo ha deciso di fare un suo personale outing dalle colonne
dell'Atlantic Monthly.
Non
è la sola. “Faccio politica per migliorare la vita degli altri,
non per peggiorare la mia” ha detto Axelle Lemaire, trentenne
deputata socialista che ha rifiutato di diventare ministro nel
governo francese perché troppo indaffarata con i pargoli. E'
come una controrivoluzione silenziosa, un movimento di donne in
carriera che si arrendono, a metà corsa, schiantate da quelle che
Slaughter chiama “tempo macho”: l'organizzazione del lavoro
ancora basata sui ritmi maschili. “Credo che sia venuto il momento
di essere sincere - spiega a Repubblica la professoressa di Princeton
- e ammettere che, a certi livelli di responsabilità, la
conciliazione tra professione e famiglia diventa impossibile”.
Una
posizione iconoclasta, quasi una dichiarazione di resa, proprio
mentre tante donne arrivano ai vertici politici e imprenditoriali. Il
lungo articolo di Slaughter pubblicato a luglio, “Why women still
can't have it all”, è stato uno dei pezzi più letti e commentati
nella storia del magazine statunitense, ripreso in decine di paesi,
con reazioni spesso critiche. “Mi aspettavo le critiche delle
femministe della mia generazione sul fatto che sto dando un cattivo
esempio oppure che propongo riforme irrealizzabili. Ma non avevo
previsto che l'articolo sarebbe diventato 'virale', attraverso il web
e altri giornali, scatenando una conversazione planetaria tra persone
di ogni età”. Persino Hillary Clinton si è schierata qualche
giorno fa contro il “piagnisteo” di certe working women, anche se
poi ha precisato che non si riferiva a Slaughter.
“Il
mio obiettivo - spiega l'autrice - era dare voce alle donne che
scoprono, dopo aver avuto bambini, di non poter diventare
amministratore delegato o direttore generale, di dover ritardare una
promozione”. Una situazione colpevolizzante, che porta spesso a
rinunciare alla proprie ambizioni. “E' un tema politico che
dovrebbe indurci a cambiare il nostro sistema economico e sociale”.
Slaughter è partita dalla sua esperienza, dalla difficoltà
nell'accudire figli adolescenti mentre svolgeva un incarico pubblico
prestigioso a Washington, per scrivere una sorta di manifesto. Da una parte,
racconta, c'è una pressione sociale sulla maternità, con
vecchi stereotipi, e dall'altra una cultura del lavoro pensata per uomini d'altri tempi.
Slaughter
racconta
di aver dubitato a lungo prima di scrivere le ragioni che l'hanno
convinta a lasciare il Dipartimento di Stato. Poi, parlando davanti a
un gruppo di studentesse, si è convinta che fosse venuto il momento
di “dire la verità”. “Le giovani di oggi sono abbastanza
coraggiose e intellettualmente preparate per sapere che non è tutto
così facile”. I “role model” che scoraggiano le nuove leve,
ribatte, sono altri. “Ad esempio, vedere donne che hanno scalato il
potere accettando di pagare un prezzo personale. Molte ragazze, e
ormai anche ragazzi, non vogliono più sacrificare la loro vita
privata”. Proprio
mentre usciva l'articolo sull'Atlantic Monthly, Marissa Mayer veniva
nominata alla guida di Yahoo con il suo bel pancione. Un caso che non
è rappresentativo, secondo Slaughter. “Negli Usa ci sono solo il
15% di dirigenti donne e tra le prime 1000 aziende della classifica
di Fortune appena 35 società hanno una leadership femminile”.
Il
“tempo macho”, spiega l'autrice,
è una trappola insidiosa non solo per le donne. “Alcuni
padri mi hanno contattato per dirmi che anche loro si sentono
vittime” spiega Slaughter. “Dobbiamo insieme ripensare le
aspettative fondamentali su dove, come e quando viene svolta
l'attività lavorativa”. La professoressa di Princeton invita alla
“creatività” per sviluppare strumenti di flessibilità, come il
telelavoro, il coworking o il part-time. “Sia uomini che donne
avrebbero tutto da guadagnare se si incominciasse a misurare la
produttività sui risultati e non sulle ore in ufficio”. Oggi il
picco di carriera coincide con il momento nel quale i figli sono
ancora piccoli e i propri genitori cominciano a essere anziani. E'
l'Exhausted Generation, la generazione esausta battezzata
dall'Economist, schiacciata da doveri privati che non si possono
rimandare. “Bisognerebbe immaginare percorsi professionali meno
intensivi e più lunghi” propone Slaughter. “Anziché una parete
verticale da scalare, la carriera deve diventare una serie di
gradini, con soste e persino lievi cadute”.
Anche
nella coppia bisogna dare prova di immaginazione. “Non esiste un
unico modello. Alcuni genitori cercano di dividere le responsabilità
equamente, bilanciando i compromessi, com'è capitato a me e mio
marito. Altre coppie agevolano uno dei due genitori, magari perché
guadagna di più, è più coinvolto, ha migliori opportunità di
avanzamento. L'eguaglianza di genere significa che queste scelte
devono essere libere e non condizionate da vincoli sociali o
stereotipi”.
Avere
o non avere tutto. Dopo la pubblicazione dell'articolo, Slaughter ha
ricevuto molte critiche per l'uso di questa espressione assolutista.
“Per la mia generazione - ricorda - era scontato che si potesse
avere il meritato successo professionale senza dover rinunciare ai
figli. Viste le reazioni al mio articolo mi sembra che l'ideale per
cui tre generazioni di femministe si sono battute è ancora molto
popolare”. La possibilità di rinunciare a un incarico di alto
livello o di “dosare” l'impegno professionale è un lusso che
molte donne non si possono permettere. “Certo - risponde Slaughter
- so che i problemi di cui parlo appartengono a un'élite fortunata
che può decidere come e quanto implicarsi nel lavoro. Ma io mi
occupo di come agevolare la vita delle donne che aspirano ai vertici
di aziende o incarichi governativi. Il cosiddetto 'soffitto di vetro'
è qualcosa di molto più complesso di quel che sembra”.
Sono ormai
tre mesi che Slaughter passa le sue giornate a rispondere a messaggi,
è invitata a trasmissioni, e arringa le folle sulla “conciliazione
impossibile” tra famiglia e professione. Nel frattempo, continua a
insegnare a Princeton, pubblica articoli in riviste specializzate,
partecipa a conferenze e dibattiti televisivi per parlare di Siria o
di elezioni americane. Ma il suo lavoro accademico è passato quasi
in secondo piano. Sta preparando un libro sulle donne che sarà
pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer. Polemica e felice di
esserlo. “Non mi posso lamentare”.