Anais Ginori (Roma, 1975). Giornalista, lavora a La Repubblica dal 1999

lunedì 10 settembre 2012

L'amore azzurro di Edith Piaf

PARIGI - Nella policromia amorosa di Edith Piaf, c'è stato l'amour bleu. Amore azzurro come un cielo spazzato via da cattivi presagi, come il ghiaccio che brucia le mani. Per meno di un anno, qualche mese appena, il ciclista Louis Gérardin, biondo campione dell'epoca, è stato per la cantante francese “mon ange”, “mon adoré”, “m'amour”, addirittura “messia”, “padrone”, “settima meraviglia”. Nelle decine di lettere che Piaf ha mandato al suo amante segreto tra il 1951 e il 1952, e tradotte dal francese nel libro “L'amore azzurro”, si scopre una passione tanto più breve quanto divorante, travolgente. “Non posso più aspettare”. “Vado verso la catastrofe”. “Sono niente senza di te”.
In quel momento, la cenerentola di Belleville ha già cantato “La vie en rose” e “Hymne à l'amour”, è ormai da tempo una diva strapagata e richiesta in tutte le capitali occidentali. A soli trentasei anni, già consumata da alcool e morfina, questo scricciolo di donna custodisce sé una forza incredibile, una voce magnetica che “ha sconvolto il mondo” come recita la targa sulla sua casa parigina. Ha alle spalle una carriera sentimentale movimentata, è un'ottima preda per i giornali scandalistici che hanno seguito ogni sua conquista. Yves Montand, Paul Meurisse, Eddie Constantine, tra gli altri. Non è un mistero che si sia generosamente concessa, dilapidando non solo fortuna e salute. Cresciuta nei postriboli delle cugine in Normandia e nella carovana circense del padre, la piccola Edith Giovanna (sua madre, cabila, era nata in Italia) Gassion è stata svezzata presto. Appena diciottenne, viene costretta a prostituirsi per pagare la sepoltura della figlia morta precocemente di meningite.
Quando incontra il ciclista un po' dandy al Velodrome d'Hiver, Piaf è reduce da un altro dei tanti lutti che hanno costellato la sua vita. Dopo il suo pigmalione Louis Leplée, ucciso durante una rapina, è il pugile Marcel Cerdan, suo grande amore, a morire in un incidente aereo nel 1949. Con Gérardin, chiamato anche “Toto”, la cantante vuole credere in un nuovo inizio. Nella sua prima lettera, il 15 novembre 1951, giura subito “amore eterno”. “Sarai l'unico”. “Tutto comincia e finisce con te”. “Sono così felice di appartenerti per sempre”. A un certo punto, come prova decisiva, confessa di aver tolto dal suo appartamento la foto di Cerdan. La nuova coppia è costretta a incontri clandestini. Gérardin è sposato da quasi dieci anni. “Capisco il tuo tormento, mio chéri, ma non saresti né il primo né l'unico a lasciare la moglie”.
Tra uno spettacolo e l'altro, lontana per qualche giorno dal suo amante, Piaf mette su carta, semplici fogli di un quaderno, un flusso ininterrotto di parole, pensieri, sogni. Frasi lunghe e sconnesse, senza virgole, con frequenti errori di ortografia, molti punti esclamativi, parole sottolineate. “Je t'aime” ritorna continuamente, è addirittura scritto con la “m” ripetuta sedici volte come ancora oggi usano fare le adolescenti negli sms. La Môme, in amore, è davvero una ragazzina.
Uno slancio totale, assoluto. Durante ogni separazione, che sia in tournée a Marsiglia o negli Stati Uniti, pretende a distanza conferme, promesse, certezze. Piaf vive in una fusione di amorosi sensi. “Sei nelle mia pelle”, scrive proprio come il titolo di una canzone che interpreterà qualche anno dopo. Anche le allusioni alle furtive notti passate in qualche albergo a ore, “Les Amants d'un jour”, sono esplicite. “Ti bacerei dappertutto, ma proprio dappertutto”. Non ha alcun pudore nel raccontare le sue fantasie erotiche su Gérardin, soprannominato “amour bleu” per gli occhi azzurri. Piaf parla delle sue “belle cosce” e del suo “bel sedere”. “Nessun uomo mi ha presa come te”.
Un desiderio che non prevede compromessi. “Tu me fais tourner la tête”, Gérardin fa veramente girare la testa alla stella della canzone francese. Le missive si fanno via via più pressanti. Non basta il telefono. “Toto” riceve anche tre lettere al giorno. Se non risponde, la cantante manda telegrammi a casa dei genitori di lui. La moglie del ciclista, Bichette, lo ha fatto pedinare da un detective, ha scoperto tutto e denunciato gli amanti per ricettazione di beni. Messo alle strette, il campione sceglie di andare a vivere con Piaf in un appartamento a Boulogne, vicino a Parigi. Dura poco. La corrispondenza, oggi di proprietà del Musée des Lettres et des Manuscrits, è purtroppo pubblicata a senso unico. Non conosciamo le risposte del ciclista alle decine di epistole. Ma si percepisce un'insofferenza crescente del destinatario per le intemperanze della Môme, che replica: “Ti prometto che smetterò di bere”. “Sarai tu a tenere tutti i conti”.
Nella primavera 1952 Gérardin raggiunge la cantante a Lille, dove è in concerto, per annunciarle che tornerà da Bichette. Piaf non crede alla rottura. Continua a immaginare di comprare insieme a “Toto” una casa “con belle lenzuola bianche”, di fare un figlio insieme al suo amante. Paragona il ciclista al compianto padre, Louis Gassion, “l'unica mia vera famiglia”. “Se Dio lo vorrà, sarai tu a darmi tutto ciò che ho perso” scrive Piaf che ha un'indistruttibile di fede da quando, ancora bambina, è stata guarita da una grave cheratite dopo un pellegrinaggio. Nelle missive d'amore la cantante cita le sue preghiere e confessa di aver acceso un cero in una chiesa per propiziare la storia con Gérardin.
Tre mesi dopo l'ultima dichiarazione d'amore, il 18 settembre 1952, Piaf manda ai genitori di Gérardin un'ultima missiva dagli Stati Uniti. Comincia così: “Quanto riceverai questa lettera, sarò sposata”. Negli Stati Uniti, ha rivisto il cantante Jacques Pills colui che le scriverà la famosa canzone “Je t'ai dans la peau”. Il discreto matrimonio si celebra nella chiesa francese di New York. Piaf ritrova così un compagno con cui condividere la sua arte, com'era già accaduto in passato. La sua testimone di nozze è Marlene Dietrich. E' l'attrice a regalarle un sobrio vestito da sposa. “Ti avevo avvertito mille volte che mi avresti persa, ma non hai mai reagito - scrive la cantante a Gérardin -. E' successo quel che doveva accadere. A forza di stare accanto a una persona tenera, gentile e piena di attenzione ci ho preso gusto e devo ammettere che ora amo sinceramente Jacques!”. Qualche anno dopo, “Toto” rincasato smette anche di gareggiare. Diventerà uno dei migliori allenatori del ciclismo francese. La Môme nel frattempo ha già divorziato da Pills. Nel suo caleidoscopio sentimentale, tocca al ventiquattrenne "Milord" Georges Moustaki. Per la cantante che si vantava di usare abiti di scena solo neri “come un'uniforme” è l'inizio di un'altra passione, un altro colore da indossare.

giovedì 6 settembre 2012

Il libro che rompe il tabù dell'incesto

PARIGI - L'uomo è in bagno, ha lasciato la porta socchiusa. Ordina alla ragazza di avvicinarsi. La fa inginocchiare. Il resto è una lunga sequenza, a tratti insostenibili, di sottomissione sessuale. Sono le prime pagine di “Une semaine de vacances”, il nuovo libro di Christine Angot, scrittrice francese abituata a fare scandalo. Il libro narra l'iniziazione di una giovane vergine nel chiuso di una casa di vacanza. Non sono i dettagli osceni che si susseguono a disturbare il lettore ma la relazione pedofila che si crea tra l'uomo e la ragazza. Un padre e sua figlia.
L'incesto, tabù universale su cui ogni società si costruisce, è raccontato nei dettagli più morbosi, con un stile disumano e scarno. Prima ancora di essere pubblicato, l'uscita è prevista per oggi, il libro di Angot ha scatenato un acceso dibattito tanto da conquistarsi ieri la prima pagina di Libération. Un romanzo-evento come succede spesso in Francia, paese nel quale gli scrittori di narrativa possono aprire polemiche trasversali, incrociando la cultura e la politica. Nell'intervista pubblicata dal quotidiano francese, l'autrice difende la sua scelta. “L'incesto non è un qualcosa di privato o intimo, è qualcosa di sociale, di politico” spiega Angot. I casi di molestie sessuali all'interno della famiglia diventano spesso un segreto inconfessabile sul quale si preferisce stendere un velo di omertà.
Anche per la scrittrice francese è stato così. Cresciuta con la madre e la nonna, Angot ha conosciuto solo a quattordici anni suo padre, un traduttore del parlamento europeo, descritto come un uomo poliglotta, colto, amante della buona tavola. Le violenze sessuali che la giovane Christine subisce allora vengono ignorate o passate sotto silenzio da gran parte dei suoi parenti e amici. Nel racconto letterario, la protagonista ha sedici anni ed è completamente asservita ai desideri del suo padre-padrone che mentre abusa del suo corpo le ordina di dire: “Ti amo, papà”. Le centoquaranta pagine del romanzo si soffermano su particolari raccapriccianti, un'indagine anatomica di ogni servizio sessuale richiesto, in un crescendo di perversione senza limiti. Uno shock letterario che, secondo Angot, dovrebbe provocare un presa di coscienza. “Ho capito - spiega - che la dimensione sessuale dell'incesto non è chiara a tutti, molte persone non realizzano cosa accade davvero”.
La scrittrice aveva già rivelato gli abusi di cui era stata vittima pubblicando nel 1999 “L'Incesto”, tradotto anche in Italia. Ma allora le violenze erano solo accennate. Questa volta la scrittrice riprende il racconto con minuzia scientifica, usando il tono impersonale del narratore. E' uno dei suoi pochi libri in terza persona. Una scelta, spiega, che permette anche di elaborare la violenza pedofila e di presentarla al lettore senza il filtro delle emozioni. L'utilizzo dell'Io ha contraddistinto tutta la sua opera così come i riferimenti autobiografici. Angot è considerata un'esponente di spicco dell'autofiction, genere molto frequentato dagli scrittori francesi spesso accusati di essere “nombrilistes”, concentrati solo sul proprio ombelico.
Con il suo gusto per la provocazione, l'autrice cinquatrenne è amata e odiata dalla stampa francese. E' un'ospite apprezzata dalle televisioni perché capace di sostenere polemiche e accendere risse in diretta. Spesso se la prende con i suoi editori, ha esordito con Gallimard per approdare oggi a Flammarion, dopo aver abbandonato Le Seuil che pure l'aveva ingaggiata con un lauto compenso. Amata e odiata, non lascia mai indifferente. Coccolata da testate come Liberation e il settimanale Inrockuptibles, è stata invece definita un “vampiro” dal Nouvel Observateur.
Nei suoi romanzi, quasi venti dal debutto nel 1990, fa continue allusioni ad amici e conoscenti. Non sempre finisce bene. L'ex moglie del cantante Doc Gyneco, con cui Angot ha avuto una turbolenta passione, l'ha denunciata per violazione della vita privata, riconoscendosi in ben due dei suoi libri. Separata, madre di Léonore alla quale ha dedicato molti dei suoi primi romanzi, ha collezionato amanti per poi servirsene come materiale letterario. Angot si paragona per la durezza della scrittura a Marguerite Duras. “Disturba perché è una donna, questo è il suo più grave difetto” chiosa Libération. La pervicace ricerca dell'oscenità è per lei il meccanismo con il quale svelare le zone d'ombra della società, la dominazione sessuale e famigliare sugli individui. Sull'incesto, che torna continuamente nei suoi libri, Angot ha preso spunto da Anaïs Nin ma anche dall'Edipo re di Sofocle. “Non sono certo la prima a parlarne, eppure ogni volta c'è qualcuno che riesce a distogliere lo sguardo, a coprirsi con una maschera”. Forse ora non sarà possibile, almeno per i temerari che avranno voglia di aprire il suo nuovo libro.

mercoledì 5 settembre 2012

Prostituzione, le ombre dietro al modello svedese

STOCCOLMA - Camminando nel deserto di cemento di Malmskillnadsgatan, nessuno potrebbe sospettare che fino a qualche anno fa proprio in questa strada ci fosse il più famoso quartiere a luci rosse della città. Niente più squillo né luci al neon. La via di Stoccolma è stata interamente ripulita, il marciapiede è battuto solo dai frettolosi passi degli impiegati dei vicini ministeri oppure dai turisti che si dirigono verso Hamngatan, il grande corso commerciale. Questo è il risultato più evidente del “Sexköplagen”, la legge contro la prostituzione che la Svezia ormai presenta nel mondo come modello.
L'ultimo paese che vorrebbe seguire questo esempio è la Francia. Il ministro per le Pari Opportunità, la giovane Najat Vallaud-Belkacem, ha annunciato di volersi ispirare al “Sexköplagen” per “abolire la prostituzione”. Anche il parlamento europeo ne ha più volte discusso e persino il presidente cubano Raul Castro sostiene di aver pensato di imitare l'approccio svedese. Un cambio di prospettiva che ha fatto epoca. Anziché punire la prostituta, come avviene in gran parte dei paesi, qui si sanziona il cliente. Nel linguaggio asettico della normativa, approvata nel 1999, si prevede infatti di punire i “consumatori” che hanno “acquistato servizi sessuali”. Il ragionamento dei promotori della legge non fa una piega: senza la domanda, non ci sarà più l'offerta.
E' la solita ipocrisia” ribatte Petra Östergren (nella foto), professoressa di antropologia all'unviersità di Lund e autrice di un rapporto che vuole denunciare le ombre del modello svedese. Oltre dieci anni dopo, il bilancio della legge è ancora controverso. Il ministero della Giustizia ha calcolato che la prostituzione nelle strade è diminuita di metà nell'ultimo decennio. In tutto il paese, cifre della polizia, ci sarebbero attualmente meno di trecento sex workers. Un numero contestato da Östergren che ha incrociato gli annunci online e ha intervistato molte lavoratrici del sesso. Secondo l'antropologa svedese la cifra reale è molto superiore. “La legge è solo un modo di nascondere il problema sotto al tappeto” spiega Östergren che, mentre il modello svedese conquista nuovi adepti, sta cercando di diffondere il suo contro-rapporto, tradotto anche in francese e inglese, con lo scopo di “smascherare un'illusione”.
La pulizia di Malmskillnadsgatan potrebbe insomma essere un abbaglio. Pye Jacobsson ha fondato Rose Alliance, un'associazione di sex workers. “Non è possibile fare un paragone con il passato perché lo Stato non ha mai avuto cifre affidabili sulla prostituzione nelle strade” racconta. “Da noi - aggiunge - l'attività all'aperto è stata sempre ridotta per un semplice motivo: fuori fa freddo”. Jacobsson sostiene che, da quando è entrata in vigore la legge, le prostitute sono costrette a lavorare in modo clandestino, in condizioni più precarie e insicure. E' l'effetto paradossale di un norma fortemente voluta da alcune femministe e che doveva in realtà aiutare le donne. “Con un approccio moralizzatore non funzionerà mai” ribatte ancora Jacobsson, fiera del suo lavoro. “Quando dico che non mi sento una vittima mi rispondono che sono soggiogata oppure che rappresento solo una piccola minoranza”.
Il mercato del sesso intanto ha cambiato sede. Si compra e si vende soprattutto su Internet o al telefono. E' la prostituzione 2.0, come scrive nel suo rapporto Östergren, che tra l'altro coinvolge ragazze sempre più giovani. Per i clienti più timorosi è sufficiente andare nel vicino porto danese Frederikshavn per frequentare delle case chiuse, oppure prenotare online alcuni “viaggi organizzati” dalla Svezia verso i paesi Baltici. “Non si può affrontare un problema complesso come la prostituzione con soluzione semplici” conclude Östergren che parla della differenza tra una signora svedese che decide a un certo punto della vita di fare l'escort e una minorenne nigeriana che è in mano alla criminalità organizzata.
E' questa complessità che fa capire rende difficile realizzare davvero l'obiettivo della legge votata nel 1999. Nell'ultimo decennio le multe sono state appena trecento e nessuno è mai finito in carcere. Un anno fa, il governo ha deciso di aumentare la pena da 6 mesi a 1 anno come ulteriore deterrente. Ma al di là delle critiche delle sex workers e di alcune intellettuali come Östergren, resta un largo consenso intorno al “Sexköplagen”. Dal 1999, nessun governo ha mai rimesso in discussione la legge, nonostante i cambi di maggioranza. Dieci anni fa, solo un terzo degli svedesi era favorevole alla normativa. Oggi, secondo i sondaggi, sono due terzi. Un cambio di mentalità e un successo rivendicato dalle autorità pubbliche, anche se ogni tanto suona qualche campanello di allarme. Nel 2010, il dirigente della polizia Göran Lindberg, tra i più convinti sostenitori della “Sexköplagen” è stato arrestato per molestie e stupro di una minorenne. E l'anno scorso, una radio svedese ha deciso per gioco di trasmettere un falso annuncio di servizi sessuali. Il centralino è stato intasato di chiamate.

martedì 4 settembre 2012

Social Love

Vorrei disdire il mio abbonamento”. Si può incominciare una storia d'amore mandando per sbaglio una burocratica email a uno sconosciuto come accade ad Emmi e Leo che si scambiano messaggi via via più espliciti, dalla curiosità intellettuale all'attrazione fisica, costruendo una relazione solo attraverso la tastiera del computer, senza vedersi né toccarsi mai, ritrovandosi infine intrappolati nei sentimenti più classici, desiderio, gelosia, dipendenza. “Nella concezione dell’amore che ho io, la parte più grande di tutti gli amori è platonica” racconta Daniel Glattauer che ha pubblicato uno dei più famosi romanzi epistolari ai tempi delle email, “Le ho mai raccontato del vento del Nord”, oltre un milione di copie vendute in Germania, tradotto in trentasette paesi e seguito poi da “La settima onda”. “Nel mondo virtuale i sentimenti passionali crescono con facilità, perché la fantasia fa uno scherzo alla realtà e perché l’immaginazione è sufficiente per generare un’intimità. E’ questo quello che ho voluto illustrare nel mio romanzo” spiega ancora lo scrittore austriaco, che sta per pubblicare con Feltrinelli il nuovo “Per sempre tuo”. L'intervista a Glattauer, 52 anni, giornalista prima di scoprirsi romanziere, si svolge per email, così come suggerito dal suo agente.
Considerato il suo successo, può essere un esercizio compromettente.
E' molto pericoloso, ci vuole coraggio. Per quanto mi riguarda, farò tutto il possibile per rimanere molto concreto e controllare i miei sentimenti”.
Parliamo d'amore.
Parliamo della vita. Non si vive senza amare. E senza la speranza dell’amore non si sopravvive. La cosa bella dell’amore è che anche i desideri, i ricordi e le fantasie suscitano sentimenti amorosi; l’amore è chiaramente anche il concetto più labile del mondo. Quello che mi riscalda il cuore o mi fa sorridere internamente: già questo è amore”.
Sms, posta elettronica, social network. Un'autonarrazione dei nostri sentimenti che prima non esisteva.
Come scrittore romantico sono naturalmente felice che i sentimenti amorosi abbiano trovato una loro strada nella rete virtuale. Per iscritto ci si può 'annusare' molto bene. Si ha il coraggio di esternare le emozioni che di persona non si riuscirebbero a esprimere. Le parole scritte non impegnano e vivono di desideri e fantasia. Chi scrive liberamente si costruisce il suo proprio mondo. E questo è il terreno fertile per l'amore. Chi scrive dell'amore all'amore sopravvive”.
Il linguaggio è una pelle. Io strofino il mio linguaggio contro l’altro. E ‘come se avessi le parole al posto delle dita delle mani”. Roland Barthes.
Il mio modo di vedere il linguaggio, qui e oggi, è decisamente più spassionato. La lingua è uno strumento. Alcuni lo usano molto bene, altri meno. A volte non serve. Altre volte non basta. Ma molto più importante è il comportamento che precede il linguaggio. Se il comportamento funziona, allora lo strumento del linguaggio si piega bene all’utilizzo che vogliamo farne”.
Sempre Barthes diceva: “Sono innnamorato? Sì, finché sto aspettando”. E' impaziente?
Per me è tutto diverso. Il ritmo delle mie storie amorose è molto lento. O, più concretamente: io sto da 27 anni con la stessa donna. E i nostri ritmi sono stati sempre buoni ritmi. Che negli anni di gioventù si tenda ad avere storie più brevi – i cosiddetti one-night-stands – è normale, ed è sempre stato così anche ai miei tempi. Quando internet non esisteva”.
Provi a immaginare Emma Bovary o Anna Karenina ai tempi delle email. Impossibile?
La letteratura, come tutte le arti, è un ottimo termometro per misurare le caratteristiche di ogni epoca. Osservando la storia, possiamo dire che da sempre fasi di accelerazione si sono alternate a fasi di rallentamento. I nostri sono senza dubbio tempi veloci. Ma in psicologia e in psicoterapia sempre di più abbiamo a che fare con il 'burn out' e con altri fenomeni derivanti da una società ultrarapida e da queste discipline sta nascendo l’esigenza di rallentare il ritmo. Chissà che presto anche i giovani non ritrovino la voglia di prendere in mano romanzi come Anna Karenina o Madame Bovary”.
Quando scatta la voglia di passare oltre allo schermo?
I sentimenti premono per essere vissuti. Più forti sono i sentimenti, più forte sarà l’impulso a viverli nella vita reale. Ma cresce anche la paura di perdere l’illusione del “tutto”. Nel caso di Leo e Emmi il gioco dei sentimenti – il funambolismo vertiginoso sulle cime virtuali – ha riempito esattamente il tempo di due libri”.
Come definisce la fedeltà amorosa?
Non credo che fedeltà, infedeltà e tradimento debbano essere ridefiniti, proprio perché queste domande si pongono anche nel caso di una relazione virtuale. E’ la vecchia domanda su cosa sia il tradimento. E’ solo l’atto, o basta il pensiero? Il mio concetto del tradimento è molto semplice: essere fedeli vuol dire essere fedeli a se stessi. Tutto il resto sono regole del gioco interne alla coppia”.
Una email è più o meno innocente di un bacio?
Per me i baci e le belle parole romantiche appartengono alla stessa affascinante arte. Ho anche fatto dire al mio personaggio Leo: 'Scrivere è come baciare, ma senza labbra. Scrivere è baciare con la testa'. La colpa e l’innocenza sono per me concetti che non hanno nulla a che fare con l’amore. Quando si ama una persona si desidera tutto il bene per questa persona e si fa di tutto per assicurarglielo”.
Non le dispiace essere considerato solo un autore di “romance”?
Mi piace scrivere dei “grandi sentimenti”. Non sono uno scrittore intellettuale. Voglio percepire me stesso attraverso la scrittura. E voglio che i miei lettori e le mie lettrici si auto-percepiscano. Analogamente io come scrittore “percepisco” tutti i miei lettori”.
Esiste una tradizione di sottile ironia e sperimentazione linguistica tra gli scrittori austriaci, da Musil a Wittgenstein. Si è ispirato a qualcuno di loro?
La mia scrittura è istintiva e non studiata. Non ho romanzi di riferimento in testa e mentre scrivo non penso consapevolmente ad altra letteratura. Non mi ero mai chiesto se fossi un erede di Musil o di Wittgenstein. Mi sembrerebbe sinceramente un po’ pretenzioso pensarlo. Trovavo anche molto divertente che alcuni critici accostassero i miei romanzi per e-mail ai 'Dolori del giovane Werther'. Non ho pensato mezzo secondo a Goethe. Spero che mi venga perdonato”.
Quanto è possibile sublimare attraverso la scrittura?
Io credo che anche con le parole si possa piangere, abbracciare e gridare. Ho permesso a Leo e Emmi di fare tutto ciò, fin troppo. Tra l’altro ci sono state una settantina di trasposizioni teatrali dei miei romanzi, e sul palcoscenico ho visto spesso Leo e Emmi piangere e gridare con grande gestualità”.
In una relazione, ha più coraggio l'uomo o la donna?
Per me non c’è differenza fra uomo e donna. Vigliacco è chi se ne va. Coraggioso è chi resta. E’ da vigliacchi vivere le relazioni come consumazioni e levarsi di torno una volta saziati. E’ da coraggiosi restare, non spaventarsi di fronte agli ostacoli, prendre consapevolezza delle zone d’ombra di una relazione, tenere il Grande Tutto davanti agli occhi, la responsabilità delle nostre azioni, dei nostri sentimenti e della relazione in sé”.

lunedì 3 settembre 2012

Anne alla conquista di Parigi

PARIGI - Il suo ultimo libro s'intitola “Lavorare sull'orlo della crisi di nervi”. Eppure Anne Hidalgo non è una donna che perde facilmente la calma, neanche quando deve combattere il venticello della calunnia. Questa ex ispettrice del lavoro, che si è occupata di mobbing e sicurezza sui cantieri, è una delle donne più potenti della capitale. La migliore, aggiunge Bertrand Delanoë che vorrebbe lasciare al suo vicesindaco le chiavi della città prima di andarsene nel 2014. Sembra un appuntamento lontano e invece i giochi politici sono già incominciati. Parigi non è solo la capitale ma il pianeta intorno a cui continua a girare l'intera società francese, a dispetto degli sforzi per decentralizzare lo Stato. Ecco perché Hidalgo annuncerà già questa settimana la sua candidatura, con quasi due anni di anticipo. Un modo per bruciare le chances di altri possibili nomi dentro al partito socialista e di organizzare subito una continuità all'Hotel de Ville, strappato oltre dieci anni fa all'egemonia della destra.
La bella Anne, 53 anni, sembra invicibile secondo i sondaggi. Caschetto moro, frangia a incorniciare gli occhi scuri, è definita dai suoi collaboratori una dama di ferro. Una zarina, dicono i nemici. Forte del suo passato di militanza nel sindacato, è capace di andare allo scontro frontale senza paure, che sia per difendere il contestato progetto di ricostruzione delle Halles, oppure per salvare il suo onore. Qualche settimana fa, ha dato incarico al suo avvocato di diffidare Twitter. Alcuni utilizzatori anonimi avevano scritto di un suo presunto figlio illegittimo avuto con François Hollande. Hidalgo non è riuscita a far rimuovere le illazioni, e ha invece ottenuto che si diffondessero ancora di più, con un meccanismo perverso ben oliato.
Sono i primi colpi bassi in una battaglia per la conquista della Ville Lumière che si farà sempre più dura nei prossimi mesi. Membro del partito socialista dal 1994, Hidalgo ha iniziato la sua scalata al potere con Martine Aubry, di cui ha sposato il capo di gabinetto, Jean-Marc Germain. Fedelissima dell'attuale Segretaria del Ps, ne è stata anche portavoce durante le primarie (perse) contro Hollande. Ma il suo vero pigmalione è stato Delanoë, che l'ha chiamata con sé, dopo essere stato eletto sindaco di Parigi nel 2001. Lui l'ha nominata a capo della Banca del Tempo e poi vicesindaco con delega all'urbanistica. Un polo di interessi, soldi e potere. Hidalgo cura importanti cantieri, come il Grand Paris, o la riqualificazione dei quartieri popolari nel nord della capitale.
Madre di tre figli, è un femminista convinta, ma a modo suo. Si è battuta per i centri che danno assistenza contro la violenza domestica, poi però è stata una delle più acerrime nemiche della candidatura all'Eliseo di Ségolène Royal. “Non si può strumentalizzare il fatto di essere donna” disse nel 2007. La militanza socialista nasce da lontano. Aveva due anni, quando i suoi genitori lasciarano l'Andalusia per fuggire dal franchismo. Della terra natale ha mantenuto un temperamento fiero, la predilezione per i vestiti neri, e un attaccamento alla storia democratica della Spagna. Ha fatto apporre una lapide a Parigi per ricordare i repubblicani rifiugiati nella capitale durante la dittatura, e re Juan Carlos l'ha insignita del titolo di commendatore.
Secondo una ricerca pubblicata ieri dal Journal du Dimanche, se si votasse oggi Hidalgo vincerebbe con il 54% delle preferenze, di fronte all'ex premier François Fillon, ipotetico candidato dell'Ump. Il partito della destra non si è ancora ripreso dalla sconfitta di Nicolas Sarkozy e ha parecchi problemi da risolvere al suo interno prima di affrontare la sfida nella capitale. Dopo due mandati, Delanoë ha conservato gran parte della sua popolarità. Primo politico francese a fare outing, il sindaco di Parigi ha svecchiato l'immagine della città con alcuni concetti poi esportati nel mondo come le “notti bianche” e “Velib”, i distributori di biciclette. Il turismo è in costante aumento, nonostante la crisi. “Sindaco di Parigi? E' il sogno di una vita” ha confessato Hidalgo qualche mese fa. La corsa è ancora lunga e disseminata di ostacoli, ma lei non è una donna che non si lascia sfuggire un sogno.

sabato 1 settembre 2012

La sindrome olandese

AMSTERDAM - Sul volto della statua c'è un sorriso che sembra una smorfia. “Siamo assistendo a uno scontro di civiltà, non solo tra Stati ma tra individui”. Dieci anni fa, il 6 maggio 2002, Pim Fortuyn veniva ucciso da un fanatico animalista. L'intellettuale ecclettico, omosessuale brillante, era diventato famoso per le invettive contro l'Islam e la volontà di chiudere all'immigrazione. Se quella statua potesse parlare, oggi forse avrebbe sostituito l'Islam con l'euro, l'immigrazione con lo spread. E' quel che ha fatto Geert Wilders, il nazionalista dai capelli blondo platino, già condannato per il suo film “Fitna” in cui paragonava il Corano al Mein Kampf, oggi in prima fila per il ritorno al gulden, il fiorino olandese. Ed è quel che ha reso Emile Roemer, un ex maoista soprannominato “teddy bear”, l'orsacchiotto, per la sua morbida stazza e l'aria bonaria, più da oste simpatico che da rivoluzionario duro e puro, il favorito di un appuntamento elettorale che potrebbe sconvolgere gli equilibri europei.
L'Olanda ha paura, ma non più, non solo, dello scontro di civiltà. Adesso bastano i cartelli “vendesi” che si vedono ovunque, appena usciti dalle grandi città, simbolo di una bolla immobiliare pronta ad esplodere. Fa paura la disoccupazione salita al 6,5%, tasso che farebbe sognare i “garlic countries”, i paesi del sud Europa che puzzano di aglio, come li chiama Wilders, ma che qui invece è considerato una calamità. Diventa intollerabile il pensiero di decurtare, come chiedono i piani di riduzione dei deficit imposti da Bruxelles, il glorioso Welfare State, pilastro sul quale è costruita la fragile terra dei polder.
Adesso che la gente sente la pancia meno piena, le divisioni sull'immigrazione sembrano un lusso” ironizza Paul Jansen, uno dei principali editorialisti di De Telegraaf, il quotidiano della destra liberale che ha governato il paese negli ultimi due anni. Sia il Pvv di Wilders, che il Partito socialista guidato da Roemer, fanno una campagna basata sull'euroscetticismo. E' un netto cambio di priorità per il paese che ha attraversato un decennio di traumi e polemiche su multiculturalità e tolleranza, dall'uccisione di Fortuyn a quella del regista Theo Van Gogh, nel 2004, per mano di un estremista islamico. Qualcosa rimane, come dimostra il riflesso condizionato scattato mercoledì, quando un errore di comunicazione tra piloti e torre di controllo su un volo in arrivo a Schipol ha fatto vivere al Paese una mezz'ora di ansia per la possibile minaccia terroristica.
Ma quelli sono timori ormai ancestrali, conficcati nell'immaginario collettivo. La paura quotidiana, quella che affiora ovunque, si annida nei portafogli. Il governo del liberale Mark Rutte, alleato con i cristiano democratici, è stato costretto alle dimissioni dopo la bocciatura del suo programma di austerity da parte di Wilders che garantiva un appoggio esterno in parlamento. “Voleva fare un referendum sull'Europa. Ci è riuscito” dice Jansen che prevede un lungo periodo di turbolenza per l'Olanda. Subito dopo la caduta del governo, nell'aprile scorso, lo spread olandese è raddoppiato. Per tornare alla normalità solo quando Rutte è riuscito ad approvare, con il voto dell'opposizione, la Finanziaria 2013 che fissa sotto al 3% il rapporto deficit/Pil. Una misura indispensabile per rispettare i parametri europei e mantenere la fatidica tripla A, sulla quale però pesa l'esito elettorale.
L'Europa non entra nella palazzina dornata di gerani in Lauriestraat, al quartiere Jordaan. E' la sede del comitato elettorale del Ps, affollata di militanti che preperano gli ultimi volantini. La riduzione del deficit? “Preferiamo le persone alle stupide regole di Bruxelles” risponde Herman, 67 anni, sindacalista e iscritto al partito dall'anno di fondazione, 1972. La minaccia dei mercati? “Un ricatto al quale non si deve cedere”. Il partito socialista ha come simbolo un grosso pomodoro rosso con all'interno una stella che ricorda il passato maoista dei suoi fondatori. E' sempre rimasto ai margini, non ha mai avuto ministri. Solo grazie a Roemer, cinquantenne maestro di scuola, c'è stata la svolta di lotta e di governo. Secondo i sondaggi, potrebbe ottenere almeno 30 seggi, raddoppiando quelli delle ultime elezioni. Anche se negli ultimi giorni, i consensi stanno scendendo a favore del Vvd, Roemer e la sua protesta autarchica saranno al centro delle trattative per il nuovo governo. Nel programma elettorale promette più tasse per i ricchi e investimenti per sostenere la crescita. Sostiene che le misure di austerità promosse dalla Germania negli altri paesi europei non hanno dato risultati. Chiede un referendum sul fiscal compact, che l'Olanda non ha ancora approvato.
Per una strana coincidenza si vota il 12 settembre nello stesso giorno in cui la Corte costituzionale tedesca dovrà dare il suo responso sul nuovo trattato europeo. Come già nel 2005, quando ci fu il “no” al referendum sulla Costituzione europea subito dopo quello della Francia, l'Olanda rischia di essere sabbia nell'ingranaggio. Finora il governo dell'Aja è stato uno dei più fedeli alleati di Berlino. “Non vogliamo fare il lavoro sporco per Merkel” racconta Dennis De Jong, responsabile per le relazioni internazionali del Ps, che pensa a “nuove amicizie” in Europa, guardando verso alla Francia, che neanche a farlo apposta ha un presidente socialista che si chiama Hollande.
All'estremo opposto, Wilders parla poco di Islam e molto di euro, di Schengen, dei panfili dei greci che non sono tassati, della capitalizzazione del fondo salva-Stati. “La loro Bruxelles, la nostra Olanda”, è il suo slogan. Ha commissionato un fantomatico rapporto per dimostrare quanto il paese potrebbe guadagnare con il ritorno alla moneta nazionale. Contro la libera circolazione delle persone in Europa, Wilders si è inventato un controverso sito nel quale gli olandesi possono denunciare lo “scippo” di un impiego da parte di un lavoratore polacco o romeno.
Sembra folclore, così come le dichiarazioni del piccolo partito cristiano integralista, in lizza per le elezioni, che ha applaudito il discorso sullo “stupro legittimo” del repubblicano Todd Akin. Nelle strade di Amsterdam, mentre qualche ragazzo brillo si tuffa nei canali sotto al sole estivo, la campagna elettorale è all'insegna della sobrietà. Non ci sono manifesti sui muri. Per queste elezioni il comune ha vietato le affissioni. I partiti si devono accontentare di un cartellone unico in cui stipare i volti dei vari leader come figurine: grazie al sistema proporzionale, almeno venti partiti sono in corsa, e una decina potrà entrare in parlamento. E' il motivo per cui le lunghe trattative, prima e dopo il voto, sono una tradizione consolidata.
Dal giorno delle elezioni del 2010, Rutte dovette aspettare quattro mesi per essere finalmente nominato premier. Questa volta potrebbe essere ancora peggio. Molti temono che per Natale non ci sarà ancora un esecutivo. “Roemer può vincere ma rimanere all'opposizione” prevede Jansen, il notista politico di De Telegraaf. Se vogliono governare, i socialisti dovranno comunque sottostare al gioco delle alleanze e smussare i loro proclami antieuropeisti. Il partito laburista, in ripresa nelle ultime settimane, è molto meno critico con Bruxelles. Nessuno si sente di escludere che possa toccare di nuovo a Rutte. Il primo ministro è in risalita nei sondaggi e ha fatto un po' di autocritica sulla lealtà assoluta ai tedeschi.
L'Olanda è stata spesso un laboratorio di tendenze, dal calcio totale di Cruijff e Nenskens, al reality show inventato da Endemol. Molte società di moda mandano i “trend watchers” nelle strade di Amsterdam e Rotterdam per vedere come le ragazze combinano e reinventano i generi. Forse non è un caso che nel 1992 sia stato firmato qui, a Maastricht, il trattato che ha lanciato l'unione monetaria. Ora l'alleanza dei populismi di destra e di sinistra prende quella data simbolica come fonte di ogni male. Solo il 58% degli olandesi è favorevole a una maggiore integrazione nell'Ue, contro il 76% di appena due anni fa. Anche se sono agli antipodi, Wilders e Roemer si contendono lo stesso elettorato. Sono entrambi partiti plebiscitati dai “blue collar”, il nuovo proletariato che teme di perdere il lavoro di una vita. Secondo lo storico Geert Mak, autore del viaggio “In Europa” che fu un bestseller in Olanda, il paese sta attaversando una lunga crisi di identità simile a quella che conobbe nel 1672 quando dovette affrontare l'invasione di francesi e inglesi. Fu la fine dell'Età dell'Oro e l'inizio di una lenta presa di coscienza. Il piccolo paese capì allora che non poteva più rimanere fuori dal mondo. Oggi Amsterdam, con l'alta velocità, è a sole due ore di treno da Bruxelles. Ma il mito e la speranza dell'isola felice sopravvivono ancora.